CARLO VOLPE

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Carlo Volpe in un momento di riflessione

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Carlo Volpe e Mina Gregori

Carlo Volpe (Bologna, 1926-1984) è stato uno dei più rigorosi esponenti del metodo filologico appreso da Roberto Longhi, di cui è stato allievo. Ottenuta la cattedra di Storia dell'arte medievale e moderna nel 1974, dopo un lungo periodo svolto ricoprendo insegnamenti secondari presso l'Istituto di Storia dell'arte, è stato il primo a ricoprire la carica di Direttore del neonato Dipartimento delle Arti Visive (1982).

Si distinse per i suoi studi sul Trecento italiano, ai quali seppe unire una vivace attenzione per altre epoche della vicenda artistica, senza trascurare le esperienze più vive della contemporaneità.

Dopo aver esordito sul n. 13 di "Paragone" con un articolo su Ambrogio Lorenzetti e le congiunture fiorentine-senesi nel quarto decennio del Trecento (1951), ricoprì il ruolo di redattore della rivista, insieme a Francesco Arcangeli, Giuliano Briganti e Mina Gregori. Su "Paragone" intervenne regolarmente con scritti volti a indagare diversi aspetti dell’arte italiana. Dal 1958 fu accanto a Stefano Bottari nella redazione della rivista "Arte antica e moderna”.

Nel 1965 vide la luce il suo libro più ambizioso, La pittura riminese del Trecento, in cui viene colta nella sua reale portata la precocità con cui la lezione assisiate di Giotto è declinata dagli artisti di quella scuola. Più tardo, ma connotato da una grande capacità di sintesi, è lo studio dedicato alla pittura bolognese, all'interno del saggio La pittura emiliana del Trecento (1979).

Affermatosi ben presto, insieme a Federico Zeri, tra i maggiori “conoscitori” in ambito internazionale, si distinse per l'impressionante vastità dei suoi interessi, mirati a sollecitare la revisione del quadrante critico di riferimento. L'occasione può essere determinata dalla visita a una mostra, come quelle di Cleveland e di Roma sui pittori caravaggeschi (1972 e 1974), ovvero dalla discussione di opere inedite e da lui per la prima volta restituite al loro vero autore. È quanto accade in seguito al riconoscimento di un affresco Paolo Uccello nella chiesa bolognese di San Martino ("Paragone", 1980), tale da recare non soltanto nuovi argomenti al costituirsi del linguaggio rinascimentale a Bologna, ma anche al ruolo, fino ad allora depresso dalla critica ma a pieno titolo protagonistico, che l'artista ricopre nel seguito fiorentino di Masaccio.

Alla fine del 1983 vede la pubblicazione il suo lavoro più impegnato e complesso, Il lungo percorso del 'dipingere dolcissimo e tanto unito' (in Storia dell'arte italiana, V), in cui, riannodando i fili di una riflessione avviata ancora una volta da Longhi, riconosce la centralità della Lombardia nella rielaborazione di modi che, pur elaborati da Giotto in una particolare fase del suo percorso, a Firenze si sarebbero rivelati assai presto perdenti. 

CARLO VOLPE